sabato 28 gennaio 2012

UN INCONTRO


   Fu  Joe  Dillon  a  farci  conoscere  il Wild West.  Aveva una piccola
    biblioteca con dei vecchi numeri dell'"Union Jack",  del "Pluck" e del
    "Halfpenny Marvel".  Ogni sera,  dopo la scuola,  ci riunivamo nel suo
    giardino dietro la casa e organizzavamo battaglie di  indiani.  Lui  e
    quel ciccione del suo fratello minore, Leo, l'indolente, occupavano il
    fienile  della  stalla,  e  noi  cercavamo  di prenderlo d'assalto dal
    basso;  oppure combattevamo una vera e propria battaglia  campale  sul
    prato. Ma, benchè ce la mettessimo tutta, non riuscivamo mai a vincere
    nè   un  assedio  nè  una  battaglia,   e  le  nostre  lotte  finivano
    immancabilmente con la  danza  di  vittoria  di  Joe  Dillon.  I  suoi
    genitori  andavano  tutti  i  giorni alla Messa delle otto in Gardiner
    Street, e soprattutto in anticamera, aleggiava sempre il lieve profumo
    della signora Dillon. Lui però,  per noi che eravamo pi— piccoli e pi—
    timidi,  era  troppo  impetuoso  nel gioco.  Pareva proprio un indiano
    quando saltellava per il giardino con un vecchio copriteiera in testa,
    battendo su una latta con il pugno e urlando:
    "Ià, iaca, iaca, ià!"
    Restammo tutti increduli quando  si  diffuse  la  voce  che  aveva  la
    vocazione religiosa. Ma era proprio vero.
    Di  conseguenza  uno  spirito  di  ribellione si diffuse tra di noi e,
    sotto la sua influenza,  non facemmo più caso a diversità di cultura e
    di costituzione fisica.  Ci unimmo in una banda,  alcuni per baldanza,
    altri per scherzo e qualcuno quasi per paura: tra questi  ultimi,  gli
    indiani  riluttanti  che  avevano paura di essere giudicati sgobboni o
    gracili, c'ero anch'io.  Le avventure raccontate dalla letteratura del
    Wild  West erano lontane dalla mia natura,  ma per lo meno aprivano le
    porte all'evasione.  Preferivo certi racconti polizieschi,  nei  quali
    ogni  tanto  facevano  delle  rapide apparizioni belle ragazze fiere e
    scarmigliate.  E benchè non ci fosse niente di sconveniente in  questo
    genere  di  racconti,  che  a  volte  avevano  anzi  una certa pretesa
    letteraria, pure a scuola circolavano di nascosto.  Un giorno,  mentre
    Padre  Butler stava interrogando sulle solite quattro pagine di storia
    romana,  quello sciocco di  Leo  Dillon  fu  scoperto  con  una  copia
    dell'"Halfpenny Marvel".
    "Che pagina,  questa o quella?  Questa?  Su Dillon, alzati! ‘Il giorno
    era  appena....’   Avanti!   Quale  giorno?   'Il  giorno  era  appena
    spuntato...' Ma hai studiato? Che cosa hai là in tasca?"
    Ci  sentimmo  tutti battere il cuore,  mentre Leo Dillon consegnava il
    giornale e  prendemmo  un'aria  innocente.  Padre  Butler  si  mise  a
    sfogliare le pagine, corrugando le sopracciglia.
    "Che razza di roba è questa?" disse.  'Il capo degli Apache!' Ah! Ecco
    cosa leggete invece di studiare la storia romana!  Che non  trovi  mai
    più robaccia simile in classe!  Chi l'ha scritta doveva proprio essere
    uno di quei poveri disgraziati, che scribacchiano per guadagnarsi quel
    tanto che basta per andare all'osteria.  Mi meraviglia che dei ragazzi
    beneducati  come  voi leggano di queste cose.  Potrei anche capirlo se
    frequentaste... la scuola pubblica. In quanto a te, Dillon, ti avverto
    una volta per tutte: applicati seriamente al tuo lavoro o..."
    Questa ramanzina,  durante le serie ore di scuola,  spense buona parte
    della  gloria  del  Wild  West  ai  miei  occhi,  e  l'imbarazzo della
    rubiconda  faccia  di  Leo  Dillon  risvegliò  in  me  la  voce  della
    coscienza.  Ma  lontano  dall'influenza  moderatrice della scuola,  mi
    riprendeva la smania di sensazioni selvagge,  per l'evasione che  solo
    queste  cronache  di disordine sembravano offrirmi.  A lungo andare il
    finto combattimento  della  sera  diventò  per  me  noioso  quanto  la
    giornaliera routine della scuola, perchè volevo vivere delle avventure
    vere.  Ma  nella  realtà  le  avventure non capitano a chi se ne sta a
    casa: bisogna andarsele a cercare fuori.
    Le vacanze estive erano ormai vicine,  quando decisi di evadere  dalla
    monotonia della vita scolastica almeno per una volta. Con Leo Dillon e
    un ragazzo di nome Mahony ci mettemmo d'accordo per marinare la scuola
    per  un  giorno.  Ognuno  di  noi mise da parte sei pence.  Ci saremmo
    incontrati alle dieci del mattino sul Canal  Bridge.  La  sorella  più
    grande di Mahony gli avrebbe scritto una giustificazione, e Leo Dillon
    avrebbe fatto dire da suo fratello che era ammalato. Avevamo stabilito
    di  seguire  la  Wharf  Road  fino  alle  barche  e  là traghettare in
    "ferryboat" per andare a vedere la Pigeon House. Leo Dillon temeva che
    avremmo potuto incontrare Padre Butler o qualcun altro  della  scuola;
    ma  Mahony chiese,  con molto buon senso,  che cosa avrebbe mai dovuto
    andarci a fare Padre Butler alla Pigeon House.  Questa osservazione ci
    rassicur•,  e  io  portai  a  termine  la  prima  fase  del  complotto
    raccogliendo i sei pence degli altri due e facendo  veder  loro  nello
    stesso  tempo  che  anch'io  mettevo  la  mia quota.  La sera,  mentre
    prendevamo gli ultimi accordi,  eravamo  tutti  un  po'  eccitati.  Ci
    stringemmo la mano, ridendo, e Mahony disse:
    "A domani, camerati!"
    Quella  notte  dormii  male.  La  mattina  arrivai per primo al ponte,
    perchè ero quello che abitava più vicino.  Nascosi i  libri  nell'erba
    folta vicino all'immondezzaio,  in fondo al giardino,  dove non veniva
    mai nessuno,  e mi affrettai lungo l'argine del canale.  Si era  nella
    prima  settimana  di  giugno,  e il mattino era mite e soleggiato.  Mi
    sedetti sul parapetto del  ponte,  guardandomi  con  compiacimento  le
    leggere  scarpette  di  tela,  che avevo diligentemente pulito la sera
    prima col bianchetto,  e osservando i docili cavalli che  trascinavano
    su per la collina un omnibus carico di gente indaffarata. I rami degli
    alti alberi,  che fiancheggiavano il viale, davano un tocco di gaiezza
    con le loro foglioline verde brillante,  attraverso le quali  i  raggi
    del  sole  battevano  obliquamente  sull'acqua.  Il  granito del ponte
    cominciava a diventare caldo, e cominciai a battervi sopra con le mani
    al ritmo di un motivo che mi era venuto in mente. Ero al massimo della
    felicità.
    Dopo cinque o dieci minuti che me ne stavo seduto là,  vidi a distanza
    il  vestito grigio di Mahony.  Saliva per la collina,  sorridendo,  e,
    raggiuntomi,   si  arrampicò  sul  parapetto  vicino  a   me.   Mentre
    aspettavamo,  tirò  fuori  la  fionda  che  gli  sporgeva  dalla tasca
    interna, e mi spiego alcuni miglioramenti che vi aveva apportato.  Gli
    chiesi  perchè l'avesse presa con sè,  e mi rispose che lo aveva fatto
    per divertirsi a tirare  agli  uccelli.  Mahony  usava  frequentemente
    espressioni  di  gergo  e  parlava  di  Padre Butler come del "vecchio
    spilungone".  Aspettammo ancora per un  altro  quarto  d'ora,  ma  Leo
    Dillon non appariva all'orizzonte. Mahony, infine, saltò giù e disse:
    "Vieni via! Sapevo che il ciccione avrebbe avuto fifa."
    "E i suoi sei pence..." incominciai.
    "E' la multa," dichiarò Mahony.  "E tanto meglio per noi. Uno scellino
    e mezzo invece di uno scellino."
    Ci incamminammo per la North Strand Road fino all'altezza dei  Vitriol
    Works  e  poi  girammo a destra lungo la Wharf Road.  Mahony si mise a
    fare l'indiano non appena fummo fuori  vista.  Inseguì  un  gruppo  di
    ragazze  cenciose,  agitando  la fionda scarica e,  quando due ragazzi
    sbrindellati,  spinti  da  un  senso  di  cavalleria,  cominciarono  a
    prenderci  a  sassate,  propose  che  li  caricassimo.  Obiettai che i
    ragazzi erano troppo piccoli e così ce ne andammo,  mentre la banda di
    straccioni  ci gridava dietro: "Swaddlers!  Swaddlers!",  pensando che
    fossimo dei protestanti,  perchè Mahony,  che era di carnagione scura,
    portava  sul  berretto  il  distintivo d'argento di un'associazione di
    cricket.  Arrivati a Smoothing Iron,  organizzammo un assalto  che  si
    dimostrò  un  fallimento,  perchè  bisognava essere almeno in tre.  Ci
    vendicammo su Leo Dillon dandogli  del  fifone  e  immaginando  quante
    gliene avrebbe dette il signor Ryan alla lezione delle tre.
    E finalmente arrivammo al fiume.  Passammo molto tempo a camminare per
    le strade rumorose, fiancheggiate da alti muri di pietra;  osservavamo
    il lavoro delle gru e delle macchine,  attirandoci spesso i rimproveri
    dei conducenti di carri cigolanti per quel nostro restare là impalati.
    Era mezzogiorno quando arrivammo alla banchina e,  dato  che  sembrava
    che tutti i manovali se ne fossero andati a fare colazione,  comprammo
    due grosse ciambelle con l'uvetta e ci sedemmo a mangiarle su dei tubi
    di metallo vicino al fiume.  Ci divertimmo a osservare  lo  spettacolo
    del traffico di Dublino: le imbarcazioni segnalate da lontano dai loro
    pennacchi  di fumo denso,  le scure barche da pesca oltre il Ringsend,
    il grande veliero  bianco  che  stava  scaricando  sulla  banchina  di
    fronte.  Mahony  disse  che sarebbe stato molto bello potersene andare
    per i mari su quei grossi battelli e anch'io, guardando quegli alberi,
    vedevo,  o meglio immaginavo di vedere,  quella geografia,  che mi era
    stata  propinata in dosi tanto scarse a scuola,  prendere gradualmente
    sostanza sotto i miei occhi.  Scuola e casa  parvero  allontanarsi  da
    noi, e la loro influenza sembrò svanire.
    Attraversammo il Liffey in "ferryboat", pagando il pedaggio per essere
    trasportati  in  compagnia  di due operai e di un piccolo ebreo con un
    sacco. Eravamo tanto seri da sembrare solenni,  ma una volta,  durante
    il  breve  viaggio,  i  nostri  occhi si incontrarono,  e scoppiammo a
    ridere.  Arrivati a terra,  osservammo scaricare il bel tre alberi che
    avevamo notato dall'altra riva. Uno dei presenti disse che si trattava
    di una nave norvegese. Mi avvicinai alla poppa per cercare di leggerne
    il nome,  ma,  non essendoci riuscito,  tornai indietro ad esaminare i
    marinai stranieri per vedere se qualcuno tra di loro aveva  gli  occhi
    verdi,  perch‚  avevo delle nozioni confuse...  Ma li avevano azzurri,
    grigi,  e addirittura neri.  Il solo marinaio,  i cui  occhi  potevano
    dirsi  verdi,  era  un  uomo alto,  che divertiva la gente raggruppata
    sulla banchina, gridando allegramente ogni volta che le assi cadevano:
    "Bene! bene!"
    Quando fummo stanchi di questo spettacolo,  ci  avviammo  piano  piano
    verso  il Ringsend.  La giornata era diventata afosa e,  nelle vetrine
    delle drogherie, i biscotti ammuffiti si stavano scolorendo. Comprammo
    un po' di  biscotti  e  di  cioccolato,  che  continuammo  a  mangiare
    lentamente per tutto il tempo che girammo per le squallide strade dove
    vivevano  le  famiglie  dei  pescatori.  Non  riuscimmo  a trovare una
    latteria,  e quindi entrammo nel chiosco di un venditore  ambulante  e
    comprammo  una  bottiglia di sciroppo di lampone a testa.  Rinfrancato
    dalla bibita dissetante,  Mahony prese a inseguire una gatta lungo  un
    sentiero,  ma  la  gatta  fuggì in un campo.  Ci sentivamo tutti e due
    piuttosto stanchi e,  quando arrivammo al campo,  ci dirigemmo  subito
    verso una scarpata, dall'alto della quale potevamo vedere il Dodder.
    Era  troppo  tardi  ed  eravamo  troppo  stanchi  per  dare seguito al
    progetto di visitare la Pigeon House.  Dovevamo essere  a  casa  prima
    delle  quattro,  altrimenti  la  nostra avventura avrebbe rischiato di
    essere scoperta.  Mahony guardava con rimpianto la fionda,  e  dovetti
    proporgli  di  tornare  a casa in treno perchè riacquistasse un po' di
    allegria. Il sole sparò dietro le nuvole, lasciandoci ai nostri tristi
    pensieri e alle briciole delle nostre provviste.
    Non c'era nessun altro oltre a noi nel campo.  Eravamo là sdraiati  da
    un  po' senza parlare,  quando vidi un uomo avvicinarsi dall'estremità
    del campo.  Lo guardavo pigramente e intanto  masticavo  uno  di  quei
    verdi  steli sui quali le ragazze predicono la fortuna.  Veniva avanti
    lentamente lungo la scarpata.  Aveva una mano sul fianco e  nell'altra
    stringeva  un  bastone  col  quale batteva leggermente sull'erba.  Era
    vestito poveramente con un abito nero-verdastro e portava un  cappello
    a  cupola  alta,  un  po'  logorato.  Doveva essere piuttosto vecchio,
    perchè aveva i baffi grigio  cenere.  Passandoci  davanti,  ci  lanciò
    un'occhiata  di  sfuggita  e  poi  tirò  dritto per la sua strada.  Lo
    seguimmo con lo sguardo e lo vedemmo,  dopo aver fatto forse cinquanta
    passi,  girarsi  e  ritornare  indietro.  Avanzava  verso di noi molto
    piano,  sempre picchiettando il terreno col  bastone,  così  piano  da
    darmi l'impressione che stesse cercando qualcosa nell'erba.
    Si  fermò  vicino  a  noi  e  ci augurò il buongiorno.  Ricambiammo il
    saluto,  e lui si sedette accanto a noi sulla scarpata,  lentamente  e
    con  grande  cautela.  Cominciò a parlare del tempo: avremmo avuto una
    estate  molto  calda,  e  aggiunse  che  le  stagioni  erano  cambiate
    parecchio  da  quando era ragazzo lui,  tanto tempo fa.  Disse che gli
    anni più belli della nostra vita sono senza dubbio quelli della scuola
    e che avrebbe dato qualsiasi cosa per essere  giovane  ancora.  Mentre
    esprimeva questi sentimenti, che ci annoiavano un po', restammo zitti.
    Poi  cominciò  a  parlare di scuola e di libri.  Ci chiese se avessimo
    letto le poesie di Thomas Moore o le opere di Walter Scott e  di  Lord
    Lytton.  Gli feci credere di aver letto tutti i libri da lui citati, e
    così alla fine disse:
    "Ah,  vedo che sei un topo di  biblioteca  come  me.  Il  tuo  amico,"
    aggiunse  indicando  Mahony  che  ci  stava  guardando a bocca aperta,
    "invece Š diverso. A lui piace giocare."
    Disse che aveva a casa tutte le  opere  di  Walter  Scott  e  di  Lord
    Lytton, e che non si stancava mai di leggerle.
    "Naturalmente,"  osservò,  "ci  sono alcuni libri di Lord Lytton che i
    ragazzi non possono leggere."  Mahony  chiese  perchè  i  ragazzi  non
    potevano leggerli,  domanda che mi turbò e mi mise in imbarazzo per il
    timore che l'uomo potesse giudicarmi stupido quanto Mahony.  Ma l'uomo
    si limitò a sorridere e,  mentre sorrideva, notai parecchi spazi vuoti
    tra i suoi denti giallastri.  Poi ci chiese chi di noi due avesse  più
    innamorate. Mahony, senza starci tanto a pensare, disse di averne tre.
    Mi  chiese allora quante ne avessi io,  e gli risposi che non ne avevo
    nessuna.  Non mi credette: era sicuro che una dovevo avercela.  Restai
    zitto.
    "Be',  sentiamo  un  po'," chiese Mahony con impertinenza,  "quante ne
    avete voi?"
    L'uomo sorrise come prima e rispose che quando aveva la nostra età  ne
    aveva caterve.
    "Non c'Š ragazzo," affermò, "che non abbia la sua innamorata."
    Il  suo  modo  di  pensare su questo punto mi colpì perchè stranamente
    spregiudicato in un uomo della sua età  In cuor mio pensavo  che  era
    giusto  quello  che  diceva sui ragazzi e sulle innamorate,  ma non mi
    piacevano quelle parole in bocca a  lui  e  mi  meravigliai  vedendolo
    rabbrividire  una  o  due volte come se avesse paura di qualcosa o gli
    fosse venuto freddo all'improvviso.  Mentre  riprendeva  il  discorso,
    notai  che  aveva un buon accento.  Cominciò a parlarci delle ragazze,
    descrivendoci che bei capelli soffici e  che  morbide  mani  avessero;
    diceva  anche  che non erano così buone come sembravano a prima vista,
    se solo se ne approfondiva un po' la conoscenza.  Non c'era niente che
    gli  piacesse  tanto quanto guardare una ragazza giovane e carina,  le
    sue  bianche  mani  e  i  suoi  splendidi  capelli  soffici.  Mi  dava
    l'impressione  che stesse ripetendo qualcosa imparato a memoria o che,
    magnetizzato da certe parole del  suo  stesso  discorso,  il  pensiero
    continuasse  a  girargli  lentamente intorno ad una stessa orbita.  In
    certi momenti parlava come se stesse semplicemente alludendo  a  fatti
    conosciuti  a  tutti,  mentre  in  altri  momenti  abbassava la voce e
    parlava con aria di mistero,  come se  stesse  dicendoci  qualcosa  di
    segreto,  che non voleva che gli altri sentissero. Ripeteva e ripeteva
    le sue frasi, cambiandole e rigirandole con voce monotona. Continuai a
    tenere gli occhi fissi sul fondo della scarpata, mentre lo ascoltavo.
    Dopo un bel po' interruppe il monologo.  Si alzò  lentamente,  dicendo
    che  doveva lasciarci per un minuto o poco più,  e,  senza cambiare la
    direzione del mio sguardo,  lo vidi allontanarsi piano piano verso  il
    fondo del campo. Restammo in silenzio, quando se ne fu andato. Passato
    qualche minuto, sentii Mahony esclamare:
    "Ma tu... Guarda che sta facendo!"
    E poichè non rispondevo nè alzavo gli occhi, disse ancora:
    "Che strano tipo!"
    "Se  ci  chiede i nostri nomi," suggerii,  "ricordati che tu ti chiami
    Murphy e io Smith."
    Non ci dicemmo nient'altro.  Stavo ancora pensando se andarmene o  no,
    quando l'uomo tornò e si sedette di nuovo vicino a noi.  Si era appena
    seduto quando Mahony,  scorgendo improvvisamente la gatta che gli  era
    scappata,  saltò in piedi e cominciò a inseguirla per il campo. L'uomo
    e io osservammo la caccia. La gatta scappò ancora una volta,  e Mahony
    prese  a lanciare sassi contro il muro che l'animale aveva scavalcato;
    ma finì col rinunciarvi e si mise a gironzolare  verso  il  fondo  del
    campo senza scopo.
    Dopo una pausa l'uomo mi parlò.  Disse che il mio amico era un ragazzo
    maleducato e mi chiese se lo frustavano spesso a scuola. Mi sentii sul
    punto di replicare indignato che  non  eravamo  ragazzi  della  scuola
    pubblica  per essere frustati,  ma restai zitto.  Ricominciò a parlare
    dei  diversi  modi  di  punire  i  ragazzi.  Il  suo  pensiero,   come
    ipnotizzato  dal  nuovo  discorso,  cominciò a girare lentamente in un
    circolo vizioso intorno al nuovo centro. Ragazzi di quel tipo,  disse,
    dovevano essere frustati per bene; ai maleducati e agli indisciplinati
    niente poteva servire di più di una buona frustata. Colpi sulle mani e
    scappellotti  non sarebbero serviti: una buona e bruciante staffilata,
    ecco  cosa   ci   voleva.   Mi   sorpresero   questi   sentimenti,   e
    involontariamente  lo  guardai  in  faccia.  Così facendo incontrai lo
    sguardo di un paio di occhi verde  bottiglia,  che  mi  scrutavano  da
    sotto alla fronte contratta e distolsi i miei.
    L'uomo  continuò  il  suo  monologo.  Sembrava aver dimenticato il suo
    liberalismo di poco prima.  Disse che se mai avesse trovato un ragazzo
    a  parlare  con una ragazza o uno che avesse l'innamorata,  lo avrebbe
    frustato a sangue: così avrebbe imparato a lasciar stare le ragazze. E
    se, pur avendo l'innamorata,  lo avesse nascosto,  gliene avrebbe date
    tante  come  nessuno  al mondo ne aveva mai prese.  Niente gli sarebbe
    piaciuto di più. Mi descrisse come avrebbe frustato un ragazzo simile,
    come se stesse spiegando un complicato mistero.  Gli sarebbe  piaciuto
    enormemente,  disse,  più  di qualsiasi altra cosa al mondo,  e la sua
    voce,  mentre mi guidava monotonamente attraverso il mistero,  diventò
    quasi appassionata e sembrò implorarmi di capirlo.
    Aspettai un'altra pausa del suo monologo.  Poi mi alzai di scatto. Nel
    timore di tradire la mia agitazione aspettai qualche  minuto  fingendo
    di allacciarmi meglio una scarpa e poi,  prendendo la scusa che dovevo
    andare, gli augurai il buongiorno. Risalii pian piano la scarpata,  ma
    il  cuore  mi  batteva forte per la paura che potesse prendermi per le
    caviglie. Quando arrivai in cima mi girai e, senza guardarlo,  chiamai
    ad alta voce verso il campo:
    "Murphy!"
    La  mia  voce  aveva  un tono di forzata spavalderia e mi vergognai di
    quello stratagemma meschino.  Dovetti chiamare ancora una volta  prima
    che  Mahony  mi  vedesse  e  mi  rispondesse con un richiamo.  Come mi
    batteva il cuore,  mentre correva verso di me per  il  campo!  Correva
    come  per  portarmi  aiuto.  E provai rimorso,  perchè in fondo al mio
    cuore lo avevo sempre disprezzato un pochino.

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